E’ incredibile come l’intero dramma possa essere riletto in chiave moderna, o meglio, contemporanea. Il teatro è inevitabile che crei una distanza tra palcoscenico e spettatore, la maggior parte della sua poesia sta infatti proprio in questo osservare senza partecipare personalmente, ma paradossalmente permette anche un effetto catartico grazie al quale possiamo liberare le nostre emozioni attraverso l’immedesimazione negli attori in scena. Così, sperando di non tentare un parallelismo troppo azzardato, l’Amleto ripropone le dinamiche relazionali che le famiglie di oggi, forse in modo meno passionale, vivono. Il figlio depresso le cui urla silenziose, pur di non sentire cosa ha da dire, vengono codardamente declinate verso uno psicologo; i genitori che cercano di nascondere le proprie debolezze, i loro segreti e le scure sfumature della loro anima. Tutti poi abbiamo un padre Polonio che ci dice come dovremmo comportarci e pretende anche che noi, tanti Laerte con un problema comune, dobbiamo sentirci a nostro agio in un mondo che non ci appartiene, fatto di false apparenze e di ingiustizie (anche se non si ha una sorella di nome Ofelia a morire) per colpa delle quali ci sentiamo soltanto inermi burattini. E l’amore? L’amore è complesso perché può essere in ogni cosa, in ogni legame e distanza, oppure può svanire, può mentire, ma soprattutto far soffrire; tutte le ragazze hanno un Amleto nel cassetto che sperano di poter far ragionare, di addolcire e così facendo mescolano amore e odio in un’unica soluzione letale.
L’incomprensione e il dolore di Amleto si fondono per creare una creatura unica nel suo genere che diventa un tutt’uno con le cupe luci dell’atmosfera che lo avvolge (la scenografia si fa un vero e proprio paesaggio dell’anima). L’intera opera shakespeariana può essere letta, metaforicamente parlando, come un viaggio onirico verso desideri repressi e azioni non volute, parole che sfuggono alla mente e una mente a cui non bastano parole per esprimersi. C’è molto esistenzialismo in tutto questo. “Dio è morto” dice Nietzsche volendo evidenziare la precarietà di un mondo senza punti di riferimento e tale incertezza, tornando all’Amleto, si incarna in un’unica persona che anche se esile d’aspetto, cela dentro di se la pesantezza di un uomo che non ha ancora capito come vivere una vita al cospetto della morte. Vita e morte, gioia e sofferenza o sofferenza e sofferenza? Per il re Claudio non farebbe differenza, tutti muoiono, ma è umoristico (fa riflettere per Pirandello), detto da chi ha ucciso per vivere la vita che ha scelto; molto più difficile è accettare un’esistenza che sembra morte per la nostra inettitudine di fronte alla vita.
20 gennaio 2017