Cosa definisce chi siamo, quello che facciamo o l’idea che gli altri hanno di noi? È il quesito suscitato da “Casa di bambola” di Ibsen, regia di Roberto Valerio e interpretata dallo stesso Valerio e da Valentina Sperlì.
Lo spettatore si trova immerso nella quotidianità di una coppia sposata da anni, dove entrambi i personaggi hanno idee precise su come è l’altro e su come si comporta. Ma noi non siamo l’idea che gli altri hanno di noi, e le aspettative dei due coniugi vengono puntualmente smentite dalla realtà.
Sul palco è rappresentata la vita della coppia e dei loro amici, ma un ruolo importante è dato anche ai pensieri di Nora: con un gioco di luci si materializzano sul palco gli altri personaggi, i quali incarnano le insicurezze e le preoccupazioni della donna, visibili solo a lei e allo spettatore. Sono presenze e voci che creano echi che inquietano. Pupazzi che evocano le sue paure, prima fra tutte quella per il procuratore Krogstad che tiene in mano la sua vita e il suo futuro. L’uomo cammina sul
palco avanti e indietro senza sosta, chiodo fisso nella mente di Nora. Voci e luci creano un effetto di sospensione, ma è sufficiente la battuta di un altro personaggio per far tornare Nora alla realtà. Sulla scena però, il Krogstad dei pensieri resta presente: il timore che il marito scopra cosa ha fatto non svanisce mai, nonostante Nora pensi che se la verità venisse a galla sarebbe “meraviglioso”.
Nora non è padrona di se stessa. Si percepisce senza alcun dubbio quando i due coniugi ballano: soli in scena, Nora diventa un burattino nelle mani del marito, che muove ogni suo arto, la guida in ogni passo come nel loro matrimonio: non retta dall’uomo, Nora cade. C’è però un momento “meraviglioso” in cui Nora si libera, vola per qualche istante, balla, sola sul palco, indipendente, magnifica. Ma poi si ferma e cade di nuovo. È una metafora della sua evoluzione come personaggio, una donna che prova a scappare dalle costrizioni che altri le hanno imposto, e ce la potrebbe fare, ma poi arriva un dubbio, un momento di squilibrio e le ali non la reggono più. La piccola “allodola” cade e ha di nuovo bisogno di qualcuno che la guidi.
Nel finale, ciò che la fa restare sono i bambini. I tre figli, di cui si sentono solo le voci, la chiamano, e lei indossa nuovamente la maschera di moglie e madre. Continua una farsa in cui lei non riempie altro che un ruolo stabilito dagli altri: non più un essere umano, ma una bambola in una casa di giochi.