Dieci piccoli indiani | visto da Marcella Pagliarulo

Luci ancora accese in sala, una voce fuori campo attira l’attenzione degli spettatori, che il mistero abbia
inizio!

Un giallo, un classico della letteratura e del teatro mondiale. Dieci personaggi sono invitati in una villa a Nigger Island dai coniugi Owen. Giunti nel luogo descritto dalla lettera si trovano a scoprire che il signor Owen e sua moglie non sono presenti. Al centro della sala da pranzo Ú scritta, però, una filastrocca (corredata da dieci statuette), che tormenterà i personaggi e lo spettatore per tutta la durata dello spettacolo, che recita la storia di dieci “soldatini” che uno per uno finiscono per morire. Dopo cena, una voce proveniente da un grammofono, incolpa tutti i presenti di un omicidio da loro compiuto in passato indicandone ogni particolare. Lentamente, i personaggi, seguendo le modalità descritte nella canzoncina muoiono
il giallo si infittisce. Chi sarà l’artefice di questo terribile gioco?

Per essere un giallo lo spettacolo risulta poco intrigante e troppo sistematico. Alcune azioni sono così enfatizzate da portare al riso lo spettatore in momenti che dovrebbero essere di alta tensione e drammaticità; sicuramente contribuiscono a questo l’impostazione dei personaggi e la ripetitività delle scelte registiche come, ad esempio, un certo utilizzo delle luci e dei suoni (Tutte le volte in cui i personaggi narrano la propria versione della storia per discolparsi dall’accusa mossa da quella voce misteriosa, le luci si abbassano ed un occhio di bue illumina l’attore in questione.)

Rispettando il lavoro degli attori e del regista, la vera domanda da porsi a questo punto Ú: cosa ci si aspetta quando si decide di andare a teatro? Si desidera che tutto sia riprodotto come se ci si trovasse di fronte al televisore oppure si cerca qualcosa di differente, di autentico? “Il teatro Ú l’arte dell’immaginazione dello spettatore” così afferma il drammaturgo spagnolo Juan Mayorga. Io condivido pienamente questa affermazione. Quando sono seduta su quella poltrona non voglio che tutto sia esplicitato. Non ho bisogno di sentire il rumore del mare o il fruscio del vento. Voglio immaginare. Scenografie articolate non servono a rendere uno spettacolo un grande spettacolo. Sta al regista, all’attore ed alle parole che pronuncia costruire mondi. Io voglio immergermi in un’atmosfera magica fatta di tensioni, di emozioni, di attese che solo il teatro nella sua immediatezza sa concedere.