L’esilio, la preghiera, lo sterminio, la ricerca di un’identità, di una Terra Promessa, di un Messia: in questo spettacolo, tra una musica e l’altra, Moni Ovadia affronta le principali questioni riguardanti il popolo ebraico. Un popolo che ha una storia lunghissima e affascinante, e che tuttora si trova a convivere con molti pregiudizi. Moni Ovadia affronta queste tematiche importanti utilizzando uno strumento d’eccezione: la risata. Gli aneddoti raccontati in questo spettacolo, con il loro finale ironico, non hanno la funzione di comic relief, non sono qualcosa di aggiunto o di superfluo, ma sono il vero e proprio mezzo che Moni Ovadia sceglie per accompagnare lo spettatore in un breve viaggio all’interno della storia ebraica. L’altro strumento, altrettanto importante, è la musica: i racconti sono intervallati da brani presentati dalla meravigliosa Moni Ovadia Stage Orchestra.
Il grande messaggio di questo spettacolo è riassunto in ciò che viene detto fin da subito, parlando dell’interminabile esilio del popolo ebraico: ci sarebbe davvero pace, nel mondo, se tutti gli uomini fossero stranieri. Perché tutti i conflitti nascono dal possesso della terra; ma la verità è che la terra non è proprietà di nessuno, se non, forse, di chi ci finisce sepolto per primo. Lo sviluppo più florido, la crescita più formidabile della cultura ebraica si hanno infatti negli anni dell’esilio, quando il popolo è senza terra. Quando il popolo trova una terra e vi si stabilisce, finisce per trattare altri da stranieri, scordandosi in un istante dei lunghissimi anni di esilio, e dimenticando la grande verità: la terra appartiene solo a sé stessa.
E Dio, che in questo spettacolo fa più volte capolino, Dio ci guarda e ride. Ride delle nostre dispute infinite, di come riusciamo sempre a vedere le differenze e non la nostra comune condizione di stranieri, ride perché non lo sa bene nemmeno Lui se esista oppure no. Ride perché forse l’autoironia è un po’ una forma di saggezza, e Moni Ovadia ci ha mostrato di essere un saggio. Ci ha mostrato che ridere di qualcosa non significa degradarla o renderla meno importante, ma che, anzi, a volte la risata è il modo migliore che abbiamo per comprendere e comprenderci, senza pretese e senza veli.