Edipo | visto da Stefano Dilorenzo

Dolore e Ragione: la dignità umana

Inscenare in un’unica serata i due capolavori di Sofocle, Edipo Re e Edipo a Colono, significa proporre ad uno spettatore moderno un’esperienza conoscitiva tanto traumatica quanto compiuta.

Venerdì 6 Aprile 2018, al Teatro Duse di Bologna, la Compagnia Glauco-Sturno è felicemente riuscita a trasmettere il “senso del tragico” di una verità spesso dimenticata: l’insufficienza e la dignità della dimensione antropica. Edipo, interpretato da Roberto Sturno sotto la regia di Andrea Baracco, forte dell’intelletto che l’ha reso Re di Tebe, crede di poter dominare la realtà. Invano Tiresia -Glauco Mauri- mette in guardia da quella Verità abbacinante, di cui l’indovino stesso era vittima e portavoce, perseguita da Edipo e che presto l’avrebbe travolto. Ed invano Giocasta -Laura Garofali-, investita nel monologo centrale da una gelida luce rivelatrice, lo esorta alla contingenza e all’interruzione del percorso gnoseologico.

Ma Edipo non desiste, la ragione infuria e rivela l’ira; la tracotanza -hybris in greco- dell’uomo che non riconosce la propria insufficienza, conduce ad accanirsi contro se stessi e quanto ci circonda, compresa la simbolica pozza d’acqua violentemente sferzata dal protagonista.

Al dischiudersi della Verità e del tenebroso sfondo del palcoscenico, ciò che si palesa ai personaggi è un male irrazionale: per Giocasta, che sempre aveva fuggito il pericolo della ragione, l’incontro con la Verità è insostenibile e a lei non resta che il suicidio; ad Edipo, a cui la Verità si rivela in tutto il suo dolore, non resta che privarsi della vista di quel male, interminabile come la corda con cui la moglie -e madre- si è tolta la vita.
L’umano e il divino sembrano inconciliabili, l’intelletto fallibile e la Verità insostenibile.

Ma in Edipo a Colono, che vede Glauco Mauri regista e protagonista, il drastico cambiamento -cromatico e strutturale- di scenografia è già indice di una nuova prospettiva. Dopo aver compiuto un lungo viaggio nel dolore, il «disgraziato» Edipo si siede, vestito di una tunica stracciata color porpora, per la prima volta su di un simbolico e candido trono. L’avvicendarsi e il sorprendente moltiplicarsi dei personaggi sempre in scena, frutto del magistrale disegno registico di Mauri, contrasta con l’inamovibilità di Edipo, al termine del proprio percorso esistenziale e conoscitivo.

La regalità non è conferitagli da denaro o potere, ma dalla coscienza di sé e del dolore umano, in cui trova una dignità del sapere superiore all’irraggiungibile essere divino: ciò gli concede il perdono di se stesso.