Tentare di ridare vita ad un classico è sempre un’operazione rischiosa. Ma Carlo Cecchi non ha paura e non l’ha mai avuta. Per la terza volta porta in scena un’opera di Pirandello, l’Enrico IV, completamente rivisitata con cambiamenti persino nella trama. Egli non vuole certamente discutere l’autorità del grande scrittore siciliano ma almeno in teatro si deve ancora poter osare!
Su una scenografia mirabilmente architettata da Sergio Tramonti, semplice ma ricca di simboli e rimandi al testo si stagliano i personaggi della storia. Anni prima in una cavalcata storica in maschera, il protagonista, del quale non conosceremo mai il vero nome, personifica l’imperatore Enrico IV ma cadendo da cavallo sbatte la testa e risvegliandosi, sin dal principio, finge di essere realmente l’imperatore di Franconia. Un giorno Matilde (la donna della quale “Enrico IV” era innamorato), Belcredi (attuale marito di Matilde, rivale in amore dell’imperatore, vera causa della caduta), la loro figlia Frida e il suo fidanzato, decidono di andare a corte, accompagnati da uno psichiatra incaricato di studiare il caso. Con l’aiuto di quattro giovani attori, gli ospiti vestono i panni dei personaggi storici. Il finale è un completo colpo di scena nel quale viene rivelata tutta la verità.
I temi pirandelliani non sono spariti in questa messa in scena, anzi sembrano ancora più accentuati. Il protagonista sceglie coscientemente la via della pazzia come antidoto all’orribile realtà che lo circonda; contrariamente al testo originale nel quale la caduta è la vera causa dell’infermità psichica. Questa riscrittura del testo permette di dare più spazio agli altri personaggi, che rappresentano il mondo dal quale il protagonista si è voluto estraniare tramite “la farsa”, come egli stesso la definisce, rifugiandosi in quello del teatro. Chi è a vivere realmente nella finzione?
Il testo, in un adattamento tutto alla Cecchi, non si perde ne esce soltanto alleggerito e caricato di una nuova ironia (Si pensi alle battute sull’Accademia Silvio D’Amico, chiari riferimenti all’esperienza personale dell’attore) e quando si allontana troppo dal testo pirandelliano vi è uno dei servitori che ricorda le battute originali. Il monologo finale possiede un’energia particolare: il continuo ruotare intorno al trono, l’enorme specchio nel quale l’imperatore si riflette, il dito puntato verso lo spettatore finiscono per rompere la quarta parete.
In fondo il testo originale era stato scritto per l’attore Ruggiero Ruggeri non per Carlo Cecchi!