Enrico IV | visto da Virginia Cimmino

Quando l’Enrico IV di Pirandello prende forma sul palcoscenico sì da sembrare qualcosa di assolutamente semplice da realizzare, si è di fronte ad una prova registica che ha colto nel segno. È il caso questo dello spettacolo diretto e interpretato dalla personalità di Carlo Cecchi che ripropone un Pirandello mostrando un esempio di come un classico possa compostamente essere reinterpretato e esplicitamente attualizzato. Conservando lo spiccato senso dell’umorismo pirandelliano, la regia di Cecchi aggiunge il proprio carattere sfacciato e sbeffeggiatore: la quarta parete si abbatte pian piano nel corso dello spettacolo, raggiungendo il suo apice quando il dito pungente di Cecchi-Enrico IV è rivolto verso lo spettatore chiamato in causa. Spettatore che, inoltre, riesce a intravedere la sua immagine riflessa nello stesso specchio nel quale il re, dice in uno dei monologhi finali, ha compreso se stesso. Il messaggio è dunque chiaro e forte: diciamo di esser vivi, ma in quanto organismi eterodiretti, alle dipendenze delle volontà di un ristretto gruppo di persone, viviamo in realtà nell’illusione e nella finzione. È la consapevolezza di questa situazione che spinge l’Enrico IV a fingersi pazzo dopo la caduta da cavallo e a scegliere la strada del teatro: questo nell’interpretazione di Cecchi che rifiuta la reale malattia pirandelliana. Ma, in fondo, qual è la differenza sostanziale che intercorre fra le due cose, conclude Cecchi con une certa ironia.

La riuscita dello spettacolo è supportata da un cast di attori che reggono l’esperienza che si respira sulla scena di attori di spicco del panorama italiano, tra cui ricordiamo Angelica Ippolito, Gigio Morrà e Roberto Tiriforò. Riconosco fondamentale l’utilizzo magistrale della scenografia che, con una propria drammaturgia accompagna il pubblico nella comprensione e degli intrecci pirandelliani fra finzione e realtà e, chiaramente, delle intenzioni registiche.

Uno spettacolo questo che, inevitabilmente, può trovare delle opposizioni, ma che a mio avviso ha la prerogativa di mettersi in discussione, di sperimentare, di prendersi delle libertà nel campo della letteratura e offrire qualcosa di diverso nel panorama teatrale italiano. Del resto, come lo stesso Cecchi-Enrico IV dirà in uno dei suoi monologhi, il teatro è rimasto l’unico posto dov’è possibile ancora il gioco!