Fotofinish | visto da Sofia Aldrovandi

3,2,1, click. Sulle foto, la corsa ineffabile e vorace del tempo viene fissata in istanti, dinoccolata in quanti discreti. Ci sono componenti della vita che scorrono così veloci, che bisogna ricorrere al Fotofinish per poterne apprezzare i dettagli.

Fotofinish di Mastrella e Rezza catapulta l’osservatore al centro di una corsa turbinosa e caotica, fatta di scene che dapprima appaiono come istantanee in un susseguirsi frenetico, eclissandosi a vicenda e riemergendo senza preavviso, come rincorrendosi.
Un uomo solo che si auto-fotografa, un astronauta in fuga dal mondo, un bambino con più giocattoli che affetto… Squarci di vite apparentemente sconnesse si intersecano come sfaccettature di uno stesso nucleo comune, personalità diverse si contendono la scena girando attorno a una serie di oggetti ambigui dall’entità mutevole in un flusso vorticoso, progressivamente sempre più promiscuo. Chi sono tutte queste persone?

Con umorismo caustico che ora carezza il riso, ora graffia con provocazione, Rezza sul palco non incarna un personaggio: dà vita alla solitudine stessa; sviscerandone i volti mutevoli, mostrando la facilità ingannevole con cui essa scivola in profondità nelle pieghe dell’animo per annidarcisi e scavare percorsi, all’ombra dello scorrere quotidiano dei giorni, nella mente, fino a logorarla; fino a prendere il sopravvento sul comportamento e sfociare nella disperazione, nella follia, nella distruzione.
La solitudine che abita intrinsecamente la vita dell’uomo chiede ululando di essere ascoltata. Ad essa sottende il bisogno viscerale di affiliazione che ci unisce. È un bisogno fondamentale e costitutivo che scaturisce dalla nostra stessa natura umana, a cui non possono sopperire i beni materiali, la fama, la violenza; che non può essere messo a tacere, che a sprazzi riemerge senza preavviso in cocenti vampate d’ira, prendendo a frustate la coscienza, sempre più difficile da soffocare.
È il reciproco contatto la matrice capace di colmare le lacerazioni della solitudine: contatto, riconoscimento, comunicazione, condivisione.

Tutto questo è ciò che si vive nell’esperienza di Fotofinish: compartecipazione totale, dissoluzione completa della quarta parete, tutt’uno di attori e pubblico, senza più copione, senza diaframma tra palco e platea, senza separazione tra messa in scena e vita reale. Ciò che rimane è aver compartecipato ad un’esperienza di reciproca interazione, che non può svanire usciti da teatro, sicché vita stessa è.