Histoire du Soldat | visto da Giulia Pedrazzini

L’ensemble del Baraccano fa la sua comparsa, prende posto e già dalle prime note si viene catapultati nel minimalismo russo di Stravinsky, esaltato dai mirabili disegni di Michele Cerone che con poche semplici pennellate conferisce corpo, vibrazione, carattere e drammaticità alla partitura che, ad un orecchio più “classico”, può apparire scarna e quasi cacofonica.

La mimica e la recitazione del Maresconi, burattinaio delle emozioni umane, plasmano con essenzialità i protagonisti andando ad integrare il lavoro del compositore che aveva immaginato l’opera per un teatro di marionette.

La caratterizzazione dei personaggi è balzachiana, molto vera: Ivano Maresconi è il soldato, un uomo semplice di spirito, piccolo, ben lontano dal personaggio del dottor Faust ma similmente incline alle bellezze terrene tanto da lasciarsi irretire dalle lusinghe del Diavolo che gli offre un libro magico in cambio non tanto dei suoi averi di scarso valore, quanto della sua felicità e della propria anima; il suo Diavolo è dinamico e camaleontico nelle diverse trasfigurazioni, si mostra lusinghiero e mellifluo salvo poi togliere la maschera e rivelare la sua vera natura di demone infernale.

I personaggi dialogano, danzano e si affrontano supportati dagli intermezzi musicali di Stravinsky che fanno da cornice a tutta l’opera: prendendo a prestito qualche battuta della sua Sagra della Primavera, un tango, un valzer, del jazz e un ricordo della grande porta di Kiev di Mussorgsky, il compositore russo ci accompagna prima nella dolce campagna francese animata da piccoli villaggi per poi abbozzare in pochi tratti il castello dove il soldato troverà l’amore di una principessa, salvata da una terribile maledizione dal suono del violino, sottratto con l’astuzia al Demonio.

La principessa, però, è poco più che un’ombra in questo racconto, un prototipo del vero amore tanto agognato, un ricordo di ciò che fu incautamente scambiato.

La fine della fiaba non può che essere una sola: non possiamo sfuggire al nostro destino. L’uomo, un essere finito che tende continuamente all’Infinito, brama un Tutto che lo renda completo ma non è in grado di assaporare questa pienezza a causa della sua stessa natura “finita”. “Una felicità è tutta la felicità. Due è come se non esistessero” dice il Diavolo, in chiusura: bisogna scegliere. Scegliamo con oculatezza, allora, perché una vita di rimpianti è l’inferno dell’anima.