Per essere Il Borghese Gentiluomo un testo commediografico “di carattere” dedicato da Molière alla rappresentazione del miope arrivismo competitivo dell’uomo borghese, si può dire che la regia di Armando Pugliese e l’interpretazione di Emilio Solfrizzi abbiano centrato discretamente il soggetto comico; pur avendo caricato lo spettacolo, alla fine del secondo atto, di una pallida messa-in-musical della cerimonia turca (la falsa investitura di Monsieur Jourdan), falsamente broadway-ana e purtroppo più vicina all’avanspettacolo operettistico, fatta com’era di musica sincopata e colori (troppo) sgargianti di luci e costumi. Anche volendo mettere da parte questa scelta, si presuppone registica ma si sospetta del Solfrizzi, guastante il sapore del secondo atto, si è costretti a muovere alcuni appunti alla modalità scelta dal Solfrizzi per tratteggiare la figura del Borghese attraverso gestualità eccessivamente giullaresche e movenze caricaturali; infatti è già il poeta comico, afferma Henri Bergson1, che “in luogo di concentrare la nostra attenzione sugli atti, la dirige sui gesti” ovvero su “le attitudini, i movimenti e anche i discorsi” non voluti, “sfuggiti”, “automatici”2, col chiaro intento di renderci visibili sul palcoscenico le forze invisibili che muovono il personaggio a sua insaputa nella vicenda per riuscire quasi, dice ancora Bergson, a farci sentire in mano “qualche filo della marionetta che egli muove”3. E’ dunque la capacità di Molière, ritengo, la prima a scatenare il riso del pubblico facendolo sentire collettivamente consapevole dell’inconsistenza dell’arrivismo egocentrico, vanesio e provinciale del Borghese; il pubblico poi ride anche perché, per qualche ora, si concentra su di un tipo umano esercitando solo l’intelligenza scevra da commozioni emotive o sentimentali per esso. A dimostrazione del fatto stanno le altre messe in scena di Molière tenutesi a Bologna negli anni passati (Il nipote di Rameau interpretata da Silvio Orlando [Arena del Sole – Bologna, 2012] oppure Il misantropo interpretata da Massimo Popolizio [Arena del Sole – Bologna, 2011]), nelle quali gli attori non ebbero bisogno di fare ricorso alle predette gestualità e movenze poiché la vera comicità di Molière filtrava, anche in quei casi, dall’acuta critica di una società borghese fatta di personaggi convinti di avere il controllo di se’ stessi ma inevitabilmente involti nelle logiche collettive della loro società ambiente.
In sintesi dunque, quella di Solfrizzi appare una recitazione comica edulcorata e caricata più del necessario, probabilmente frutto dei suoi lunghi pregressi nella fiction televisiva musicale RAI; la regia si dimostra invece di buon livello nella capacità di orchestrare il ritmo di successione delle scene, essenziale nel teatro comico, con l’unica macchia della conclusione in musical citata all’inizio. Messa in scena buona per passare una domenica in lietezza ma nulla di più.
1 Bergson, Il riso. Saggio sul significato del comico (1900), trad. it. a cura di A. Cervesato e C. Gallo, Laterza, Bari-Roma, 2007.
2 H. Bergson, Il riso, cit., pp. 93-94
3 Ibidem, p. 12.