Lacci | visto da Virginia Cimmino

โ€œLacciโ€. Un titolo bizzarro quello dello spettacolo architettato da Armando Pugliese, ma che si insinua ora esplicitamente ora non, nei meandri di una famiglia che si regge sul caro, instabile perno dellโ€™abitudine. I lacci sono quei fili ingarbugliati disposti per la casa dove non รจ concesso incespicare. Sono la catena che lega un padre allโ€™idea di famiglia. Sono il ricordo dellโ€™unico momento in cui lo stesso abbia sentito un legame con i propri figli. Questi stessi lacci sono il dramma dei componenti di una famiglia che nelle mura di una casa glaciale ci regalano, su tre piani temporali diversi ma vicini fra loro, il proprio punto di vista, confermando che quel che un tempo รจ stata definita tempesta, รจ ancora ben ancorato alle loro vite.
Sono, infatti, la separazione dei genitori, il loro ricongiungimento – sebbene antecedenti al tempo dello svolgimento dellโ€™azione- e le inevitabili conseguenze, che si palesano sulla scena.

Vanda, Valeria Scalera, con una voce che arriva dritta alla pancia dello spettatore, supportata da giochi scenografici efficacissimi, dร  voce alla sue lettere scritte nei quattro anni di separazione dopo la fuga del marito a Roma con lโ€™amante Lidia. Aldo, un Silvio Orlando che con forte convinzione lascia trasparire lo smarrimento e la frustrazione del suo personaggio, approfitta del disordine in casa provocato dalla venuta dei ladri per mettere in ordine le sue idee: risponderร  dopo anni a quelle lettere mai tornate indietro della moglie.

Ultimo quadro, ulteriore conferma. Dramma della separazione รจ il tappeto delle vite dei personaggi: i due figli, accecati dal rancore della loro infanzia, cinici, diseducati allโ€™amore, mettono sottosopra casa. Sono loro i โ€œladriโ€. I profanatori di un tempio, di un focolare che in realtร  รจ giร  vuoto da tempo.

โ€œLโ€™Eden non รจ mai esistito, anche quando ce lโ€™hanno voluto far credere. Bisogna accontentarsi dellโ€™infernoโ€ dice la sorella al fratello.
รˆ vero, il tema affrontato รจ sempre piรน comunemente discusso ai giorni nostri, inevitabili dunque luoghi comuni, ma il teatro insegna che ogni personaggio bisogna della dignitร  di essere ascoltato. Ogni personaggio grida aiuto.

La storia, a mio avviso, trascende il dramma familiare, portando lo spettatore a riflettere sulla condizione della propria vita. Le parole di Domenico Starnone sono unโ€™accusa a chi non ha la forza di rischiare, a chi, insoddisfatto, rimane ancorato a delle idee in cui non crede piรน pur di avere una certa stabilitร , ma accetta di soffrire silenziosamente. รˆ un invito a comprendere che spesso per trovare la felicitร  non conta correre dietro a nuovi inizi, non occorre andare cosรฌ lontani. Forse la poeticitร  dei personaggi cecoviani non aiuta nella vita di tutti i giorni.