Locandiera B&B | visto da Mario Golia

Lo scenario angoscioso di una cena dai tratti kafkiani (prima) e l’andito “movimentato” delle stanze di un nascente albergo (poi) fanno da ottima cornice scenografica allo spettacolo “Locandiera b&b” scritto da Edoardo Erba e portato in scena da Laura Morante per la regia di Roberto Andò. L’intera pièce, in due atti, è incentrata sull’immagine enigmatica di Rando, convitato di pietra, la cui assenza incombe lungo il corso dell’imprevedibile vicenda ma soprattutto sulla personalità di sua moglie Mira, personaggio cangiante e ineffabile. Proprio la mutevolezza dei tratti psicologici di quest’ultima (magistralmente interpretata da Laura Morante) rappresenta la peculiarità della trama. Il riferimento (seppur sostanzialmente molto remoto) è la celebre Mirandolina di goldoniana memoria, rivista in maniera estremamente libera, tanto da ottenere, in realtà, un’opera autonoma e originale.

Il primo atto si apre nel soggiorno della villa (che la protagonista dichiara di aver ricevuto in eredità da “mesti” parenti e che intende convertire in un b&b) ove è programmata una cena d’affari il cui organizzatore, Rando, tarda ad arrivare. Mira, abbandonata anche da Brizio, uomo di fiducia del marito Rando, si trova a dover fare gli onori di casa e a condividere la cena con quattro sconosciuti soggetti dalla personalità alquanto ambigua. Suspense e tensione dominano la scena: chi sono davvero quei presunti uomini d’affari?. Dov’è Rando?. Di piacevole contrasto al racconto è, in questa prima parte, l’atteggiarsi di Mira, donna timida e remissiva, talora addirittura goffa, che cerca di celare con qualsiasi espediente l’imbarazzo per l’imprevista circostanza che si trova, suo malgrado, a fronteggiare. L’arrivo improvviso dello sfingeo sig. Riva funge da metaforico spartiacque per l’intreccio della vicenda. Con l’avvento del secondo atto, tra le stanze dell’antica
villa, si dischiude un coacervo di intrighi, di passioni, di dissimulazioni. A dominare la scena resta, però, ancora lei: Miranda. Col calare della notte, il personaggio muta progressivamente la sua essenza: da vittima inconsapevole di una situazione paradossale a dominatrice di una vicenda dai contorni inaspettati. La presa di coscienza del suo fascino e delle sue potenzialità seduttive, sempre represse, consente a Mira di conquistare le attenzioni dell’enigmatico signor Riva, deus ex machina per i progetti reconditi della donna. La scenografia, dominata dalla presenza di specchi opachi in ambo gli atti, si fa metafora del racconto: come maschere pirandelliane, la vera essenza di tutti i personaggi permane avvolta nel mistero. Inedito crogiuolo di generi diversi, la pièce ben riesce a contemperare la suspense tipica dei thriller con calibrati momenti di distensione da commedia. Il pronunciato accento toscano, opportunamente ingegnato per la protagonista, smorza piacevolmente la tensione cui indurrebbe la trama tout cour. L’ottima performance della Morante ben trasmette la gradualità evolutiva del personaggio: il trapasso da donna dal temperamento remissivo a femme fatale. Riemerge in filigrana l’essenza arguta del dialogo tra Mirandolina e il Marchese nella scena VIII dell’opera goldoniana, allorquando la donna, per far prendere coscienza della sua autentica personalità, afferma con sicurezza:“il viver del mondo lo so ancor io”.