Sul ramo
del lago di Como
inizia quel tomo
che ti devasta con i suoi trentotto…
Ah no, scusate. Errore mio, che, come molti, ho conosciuto gli Oblivion guardando “I promessi
sposi in 10 minuti”. Dopo aver visto lo spettacolo “The Human Jukebox”, ho imparato ad andare
oltre le splendide parodie di opere letterarie molto conosciute, e li ho riscoperti come dei grandi
artisti e intrattenitori.
Diciamocelo, lo spettacolo va a colpire la nostra anima nazional-popolare, con un inizio sanremese
che permette un po’ a tutti di ritrovare il proprio pezzo preferito del Festival della Canzone Italiana.
E, dopo aver scaldato il pubblico, gli Oblivion proseguono con quello che sanno fare meglio:
rallegrare. Come chiamare altrimenti la loro capacità di unire il canto (e addirittura il mimo!) alle
delicate e mai volgari parodie dei più famosi artisti? Se Noemi, Giusy Ferreri, Albano, Tiziano
Ferro, Giovanotti con la G (spettatori del 25 marzo, voi capirete) e tutti gli altri che sono caduti
nelle grinfie artistiche degli Oblivion fossero stati in sala, avrebbero sicuramente riso di gusto. O
magari c’erano, nascosti in qualche palco a godersi il momento, cosa ne possiamo sapere.
Una menzione d’onore alla memoria e alla capacità di concentrazione dei cinque artisti durante il
momento monovocalico: sarebbe stato facilissimo lasciarsi scappare anche un semplice sospiro con
una vocale diversa da quella assegnata, ma no, loro ci sono riusciti. E, se si deve sospirare, lo si fa
utilizzando la propria lettera.
Continuando in un crescendo di divertimento, con il fedele sacchetto dei bigliettini su cui il
pubblico ha scritto svariati nomi di gruppi e cantanti, si arriva all’apice delle risate con la sacra
parodia di Povia in versione Gospel, e con la comparsa di un parruccone in stile afro (non vi sembra
lo stesso usato da Lorenzo Scuda per Renzo Tramaglino?)
E dal teatro si esce troppo presto, ma con il cuore riscaldato dalla bellezza dello spettacolo.
E pensare che tanti di noi li hanno conosciuti guardando un video su Youtube per passare il tempo.
Provo molto affetto per quel video, tanto che, durante lo spettacolo, nel momento in cui Fabio
Vagnarelli urla “Prendo il cappello di Don Rodrigo!”, un po’ mi commuovo.