Una necessaria premessa: io, del Benni, sono una grande fan. Fu subitaneo amore, un’estate non meglio precisata; letto il primo (probabilmente per caso), nel giro di poche settimane finii col voracemente ingurgitare l’intera produzione letteraria dello scrittore bolognese.
Capirete dunque come questo spettacolo non me lo potessi lasciare scappare.
All’inizio silenzio e buio. Ora un palco luminoso che profila una stanza arredata in maniera infantile, morbida d’ uncinetti e di giochi per bambini. Quattro personaggi(e) che non si potrebbero immaginare le più diverse fra loro. Medias res, insomma, e sarà preoccupazione delle protagoniste quella di raccontarsi, di farci capire.
Come tipico di Benni, perno fondamentale del gioco è l’esasperazione dello stereotipo.
E non mancano certo i momenti di ilarità! Certo, come non si potrebbe trovare buffa una donna dall’accento hispanico e atteggiamenti da diva decaduta che sospiri per qualunque uomo le capiti a tiro, o un’ape operaia fortemente politicizzata che sognante intona l’inno del Partito, o un cane in piena crisi affettivo-esistenziale che così ferocemente improperi verso il proprio padrone?
Che si rida, suvvia!
Ma la risata non mancherà ben presto di umoristicamente trasformarsi in una piega dolceamara: perché ognuno di questi personaggi è, in fondo, diversa declinazione di un medesimo male di vivere. L’escluso, il diverso, giustappunto quella pecora nera ormai diventata un peso per le sue candide simili; quella rugosa pecora nera che, protetta dalla sua sedia a rotelle lascerà prima parlarci i suoi personaggi, per poi in un colpo di scena rivelarsi, e farli sparire, assorbirli a sé. La sua persona, la sua storia, non hanno ormai più nulla di comico.
Perché lei esiste, nonostante la dorata gabbia ospedaliera nella quale la società l’ha costretta a comprimersi; esiste tanto, esiste forte. Ed è così che lo spettacolo si chiude, l’immagine di una vecchia canticchiante che parla di “una canzoncina” con la sua infermiera: e mentre le due donne escono di scena, non è così banale chi sia l’accompagnatrice, e chi l’accompagnata.
Non me la sento, tuttavia, di dare un giudizio complessivo che vada oltre il “carino”: un testo ben costruito, per carità, nonché ben recitato e ricco di spunti. Ma lo consiglierei a chi non conosce Benni: perché, per chi ha letto i suoi libri, questo spettacolo pecca un po’ di ripetitività. Nessuna aggiunta per i “fans di lunga data”, insomma, ma di sicuro un ottimo modo per iniziare!