Cos’hanno in comune un’ape operaia, un’attrice da soap opera, un labrador con crisi di coscienza e Ida, una donna anziana ricoverata in un ospizio? È Stefano Benni a raccontarlo nel suo ultimo spettacolo Pecore nere, di cui è autore e regista: una brillante commedia con brevi inserti musicali che narra la storia di quattro figure femminili diverse ma complementari, sole nei loro rancori e nelle loro amarezze. Confidandosi l’una con l’altra riusciranno a esternare le proprie frustrazioni, con ricami e funambolismi lessicali tipici di Benni e quel tono velatamente sarcastico che ne caratterizza i lavori. Assistiamo così allo sfogo di un’attrice abbandonata dal marito per un “batrace giuridico”, alla perorazione di un’ape operaia dall’accento fantozziano dedita ai propri compiti e non riconosciuta nel suo ruolo portante e fondamentale per la comunità – allusione alla politica italiana, che non può certo mancare in un lavoro di Benni – e alla confessione di un labrador nevrotico, Bianca, costretta a limitare la propria natura ferina per compiacere un padrone troppo severo. Infine, dopo aver pazientemente ascoltato questi vibranti monologhi, è il turno di Ida: rotto il suo mutismo, si trasforma sotto i nostri occhi e torna bambina, ragazza, donna sensuale e piacente, in un crescendo di ricordi di una lontana gioventù. Terminato il suo monologo con un’ammonizione – tutti voi finirete come me, come pecore nere: soli e abbandonati in un ospizio, vittime della vecchiaia che non risparmia nessuno – Ida viene lasciata sola anche da quelle strane figure: fantasmi che le tengono compagnia, prodotti dai precipitati di programmi televisivi di cui si nutre? Proiezioni della sua personalità? Non è dato sapere. La scena si spoglia: non è più una graziosa, colorata e intima cameretta, ma torna a essere la fredda stanza di un ospizio, come a inizio spettacolo, quando il pubblico è stato accolto a sipario aperto da Ida che osservava passivamente lo scorrere dei programmi in televisione, scatola magica dalla quale sono uscite le tre figure che l’hanno intrattenuta.
Con l’ironia che gli è propria e coadiuvato da quattro attrici capaci e calate nella parte, Stefano Benni racconta femminilità diverse, fragili e forti al tempo stesso, con toni leggeri ma dal retrogusto dolce-amaro che lascia, al termine della rappresentazione, con il sorriso sulle labbra e una lacrima sulla guancia.