Il sipario si apre su un palcoscenico semivuoto destinato a riempiersi di ben altro. Spicca un’impalcatura, sopra la quale due gambe senza volto ma con una voce ben distinguibile, continuano ad avanzare e ritirarsi quasi meccanicamente. Un automatismo che ben si scontra invece con la dinamicità, la flessibilità e l’acume delle creazioni che il paroliere, senza sminuire e ridurre esclusivamente a tale etichetta il nostro protagonista: Bergonzoni, pronuncia. Mentre le sue parole viaggiano alte e, prepotenti, attirano l’attenzione e le risate dello spettatore, dall’altra parte c’è un corpo che rimane ingabbiato là sopra, senza via di uscita. Un corpo che soffoca. Ed ecco che dopo un tempo interminabile, dopo un mal di mare non indifferente, fa capolino dall’impalcatura anche la bocca, termine ultimo di quelle parole che hanno radici più profonde. Bergonzoni vuole scendere da là sopra, vuole vedere la gente, vuole conoscerla. Eppure quel passo che lo separa dal “mondo” è difficile da compiere. È una lotta “Trascendi e Sali” la sua.
Una volta abbandonata la “Penso-Struttura” e fatto il passo decisivo, Bergonzoni ripete più volte “Occorrete”: il mondo ha bisogno della nostra presenza. “Occorrete, non sull’agenda ma agendo”. Frasi lapidarie che ti colpiscono mentre ancora inghiotti il riso della battuta precedente. Processi a fine spettacolo, mentre cammini per strada che hai riso per due ore di te stesso e con te stesso.
Partendo dall’ormai consolidato “spacchettamento” fonologico delle parole, Bergonzoni, quasi inevitabilmente, ti porta a valutare il peso che si dà quotidianamente alle parole: con quanta accuratezza sono scelte? Ne riconosciamo ancora il valore e il potere o l’abitudine al suono ne disperde il contenuto? E quindi ancora, che peso dare ad una notizia, magari sentita alla televisione? “È roba da non crederci”: nel senso che è una balla o è davvero incredibile? I punti interrogativi sono molti e non penso che Bergonzoni si arroghi il diritto di porceli e al tempo stesso di rispondervi. Ci mostra però che tutti, prima o poi, ci troviamo, consapevoli o no, a dover scegliere se fare quel difficile salto o limitarci, barricandoci su di un’impalcatura, dove solo grazie ad una folata di vento arriva, a caso, l’eco di Taranto, Migranti, Genova, Regeni o ancora responsabilità, dignità. Ci mostra che magari scendendo si può dare un volto al famoso abitante africano “Chi mai”, che apre la maggior parte dei quesiti della gente, o forse non se ne ha più bisogno. Perché dietro quel “Chi mai” inizi a intravedere la tua faccia.
Bologna, 30 ottobre