“L’odore assordante del bianco” mette in evidenza l’importanza dell’olfatto, organo sensoriale atto ad evocare i contenuti della memoria, tema indissolubilmente legato alla dimensione di realtà a cui attinge il protagonista. Van Gogh è coinvolto in una scena che lo vede straziato entro la forza assordante dei propri pensieri, come recita il sottotitolo, effetto restituito da una sonorità essenziale ora stridente e disarmonica, che ricalca la tensione con il rumore dell’irrefrenabile avanzata di un treno sulle rotaie, ora malinconica che rimanda all’angoscia dovuta alle ripetute conferme della propria infondatezza.
Lo spettacolo si risolve in un dialogo che fa violentemente emergere molti temi, restituendoli con un ritmo serrato, sotto forma di puntuali percezioni di uno sguardo malato, continuamente inattendibile e ingannevole, fedele solo a se stesso.
Il dubbio sulla natura delle figure presenti, sul grado di realtà, imperversa già dall’inizio dello spettacolo, che si apre con la suggestiva contrapposizione tra il fascio di luce, in cui è ostentata, con l’atteggiamento sofferente e raccolto, restituito dall’intensa espressività gestuale e vocale di Alessandro Preziosi, la malattia mentale di Vincent Van Gogh, e la figura in ombra di suo fratello, Theo, interpretato nelle convulse insicurezze proprie del ruolo del personaggio o del protagonista che le proietta.
L’assenza di una struttura ordinata del discorso mette in guardia sulla possibilità di revocare nel falso ciò che appare nello spazio della rappresentazione, sulla necessità di discernere, come responsabilità intellettuale e morale dello spettatore.
La scenografia rinchiude efficacemente il personaggio in quattro mura scarne, costringe e protegge, in una parete di suono, bianca in quanto negazione della realtà del soggetto, la lucida profondità di una mente /malata inserita in un contesto che non può sopportarne l’emancipazione.
I confini tra la realtà e l’immaginazione sono continuamente trasfigurati attraverso l’essenza dell’ arte, posta al centro della scena, come tela simbolicamente bianca. Le immagini ritratte a loro volta ricostruiscono solo il mondo nell’unico modo in cui lo conosce l’autore, il quale, secondo le parole di Heidegger, “pone in essere un mondo e dischiude la verità”, verità così intensa che rischia di superare i limiti del reale.
Un’opera profonda che costringe a interrogarsi sulla riconoscibilità di tale mondo secondo le proprie interiorità, dischiuso dall’occhio dell’artista entro i confini del bianco.