Ospedale psichiatrico di Saint-Paul-de-Manson, Provenza nel 1889. Proprio lì si svolge l’opera incentrata sull’artista Vincent Van Gogh e la sua pazzia.
Fin da giovane l’artista olandese soffre di disturbi mentali, vede cose che non ci sono, che non esistono Tutto peggiora quando entra nella clinica: gli infermieri sono crudeli, meschini ed il dottore impone dei divieti assurdi ai pazienti.
L’opera si svolge proprio nella stanza d’ospedale dove è ricoverato Van Gogh.
Il dramma si apre con l’arrivo di Theo, venuto da lontano per vedere come sta il fratello pittore. Theo cerca di intavolare un discorso ma non ottiene alcun risultato. Vincent pensa ad altro, non vuole rispondergli.
Il fratello prova a fargli delle domande, gli racconta avvenimenti passati ma nulla, Vincent ripete come un pappagallo tutto quello che gli dice o chiede il fratello.
Ma quando Theo è sul punto di andarsene il protagonista lo ferma e gli parla.
Gli chiede di dimostrargli di non essere frutto della sua mente ma una persona in carne ed ossa. Al fratello sembra tutto così strano ma Vincent gli spiega che a causa dei numerosi medicinali e delle continue torture a cui viene sottoposto non è più in grado di distinguere la finzione dalla realtà.
Infatti Van Gogh afferma “quando una testa è marcia fa paura”, e “i miei occhi dovevano sempre dubitare”.
Dopo numerose prove Vincent crede al fratello e si interrogano sulla via di fuga da quelle orrende mura bianche.
Vincent mostra un ritratto su una tela grezza. Nella clinica è proibito dipingere: “è proibito scrivere, leggere, dipingere, è proibito vivere!”.
Su quella tela fatta con pezzo di stoffa e dipinta con il carbone c’è il ritratto del dottore. Il colore non si può classificare come un vero e proprio colore, è quasi inesistente, privo di sostanza. Lo stesso Vincent dice “non c’è uno straccio di colore, è un disegno senza colore e quindi non esiste”.
Entrano nella stanza i due infermieri: Gustav e Roland. Vincent dichiara di volersene andare dalla clinica sotto tutela del fratello, ma i due infermieri non lo vogliono far uscire e fanno di tutto per farlo rimanere. Nel dialogo si aggiunge anche il dottore che “sputa” la verità in faccia a Vincent dicendogli che il fratello non era mai venuto all’ospedale, e che quindi si era inventato tutto.
Quando poi il dottore vede il ritratto, ha un attacco d’ira e lo rompe. Dalla rabbia Vincent prende le forbici con cui era stato strappato il quadro e le mette alla gola del dottore.
A placare la rabbia dell’artista viene in soccorso il direttore, il quale riesce a calmarlo dicendogli che se avesse buttato le forbici avrebbe potuto esprimere tre desideri.
Vincent si fida, allontana le forbici dalla gola del dottore e chiede di dipingere, chiede di avere delle tende colorate e di togliere i due quadri orribili dal corridoio.
Il protagonista domanda al dottore perché stava facendo tutto questo ed egli gli spiega che voleva applicare una terapia diversa, senza vasche o altre atrocità, una terapia fondata solo sul dialogo aperto e sincero.
Attraverso questo metodo si può entrare nella mente, trovare la fonte del problema e da lì provare a curare.
Il direttore applica la tecnica dell’ipnosi e Vincent rivive la sua infanzia, ma qualcosa scatta nella sua mente ed inizia a delirare.
Impazzisce non ritornando più in sé.
L’opera teatrale è interpretata da sei personaggi di cui l’attore principale è il famosissimo Alessandro Preziosi nelle vesti di Vincent Van Gogh.
La scena si svolge nella stanza d’ospedale di Vincent, un posto bianco, spento, senza colore, privo di felicità o di qualsiasi altra emozione. Quel luogo riesce a risucchiare tutti i sentimenti positivi e rassicuranti. Quel posto è la morte fatta ad ospedale.
Gli attori sono stati impeccabili e hanno enfatizzato i punti salienti attraverso il tono della voce, l’espressione del viso e con i gesti delle mani.
I costumi sono semplici nel loro genere ma perfetti in quell’ambito, gli oggetti della scena pochi: il letto, la pianta spenta e priva di colore, il ritratto fatto col carbone, le forbici e una sedia, tutti di colore bianco.
E infine l’aspetto che ha racchiuso tutto il senso del discorso è, in questa splendida opera, la musica che ha potenziato ogni avvenimento tragico.
Il significato profondo di questa opera va ricercato nell’operato del direttore che, venuto in soccorso di Vincent, l’ha finalmente riconosciuto non più come una bestia, non più come malato incurabile o come pazzo da rinchiudere e maltrattare ma come uomo.
Un uomo con dei sentimenti e un proprio pensiero. Un uomo che aveva finalmente, dopo tanto tempo, la possibilità di parlare e di essere ascoltato e preso sul serio. Un Uomo a tutti gli effetti.